Dove va il processo “Ambiente Svenduto”?

Cosa sta succedendo a Taranto nell’ambito del processo “Ambiente svenduto”? E’ quanto da alcuni mesi ci stiamo chiedendo come Movimento civico Taranto Respira. Quel processo epocale che sembrava finalmente dare ascolto alle richieste di giustizia da parte di una città offesa da decenni di politica ambientale e attività industriali, lesive dei più elementari diritti dell’uomo, sembrerebbe avviarsi verso una conclusione dall’amaro sapore di una beffa.
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Non può non destare perplessità e inquietudine il fatto che a distanza di quasi un anno dal provvedimento di rinvio a giudizio, emesso il 29.02.2016 nei confronti di 44 persone e delle tre società ILVA, RIVA FIRE e RIVA FORNI ELETTRICI, il processo stia subendo rinvii su rinvii e sia ancora fermo alla fase delle questioni preliminari, discusse in maniera interminabile a dispetto della legge che, a quanto ci consta, prevede ‘limiti di tempo strettamente necessari alla illustrazione delle questioni’.

Ancora più inquietante appare l’iniziativa assunta, dopo il rinvio a giudizio degli imputati, dalla Procura di Taranto che, prima ancora che sia iniziato il dibattimento e senza che sia emerso alcun elemento di novità nel contraddittorio di tutte le parti costituite in giudizio, abbia ritenuto, sulla base evidentemente di una interlocuzione nel frattempo avviata al di fuori delle aule giudiziarie con le tre società imputate nel processo (così come apprendiamo dai mezzi di comunicazione), di modificare il capo di imputazione precedentemente formulato a carico delle medesime società, pervenendo ad un “alleggerimento” della loro posizione mediante una sostanziale riduzione della gravità del fatto loro contestato. E così si passa da iniziali 8 miliardi e cento milioni di euro, quale importo indicato come “profitto del reato”, prudenzialmente quantificato e assolutamente necessario per effettuare tutte le opere di risanamento ambientale dello stabilimento siderurgico, alla totale scomparsa di ogni riferimento alla suddetta cifra, sostituita da una formulazione generica, secondo la quale le predette società cagionavano danni ambientali non provvedendo all’attuazione di tutte le misure di sicurezza, prevenzione e protezione dell’ambiente e sicurezza dei lavoratori.
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Attraverso la suddetta modifica del capo di imputazione relativo alle tre società imputate nel processo, la Procura ha di fatto consentito loro di proporre nuova istanza di patteggiamento; patteggiamento al quale la Procura stessa – diversamente da quanto è accaduto nel corso dell’udienza preliminare – ha prestato il proprio consenso. L’eventuale accoglimento delle istanze di patteggiamento da parte dell’organo giudicante impedirebbe, innanzitutto, alle tante parti civili, già costituite anche contro le società stesse, di vedere soddisfatte nel processo le rispettive richieste di risarcimento dei danni subiti. Temiamo, inoltre che l’accoglimento delle istanze di patteggiamento delle società imputate, con la conseguente fuoriuscita delle stesse dal processo penale in corso di celebrazione, apra la strada al dissequestro e alla restituzione degli impianti dell’area a caldo, tuttora sottoposti a sequestro preventivo benché con facoltà d’uso.
E ancora ci chiediamo: “vale ancora il principio della irretrattabilità dell’azione penale?” Secondo il quale, una volta esercitata l’azione penale spetta ai Giudici e non al Pubblico Ministero, ritenere eventualmente, all’esito del processo, che il fatto di reato sia meno grave di quello indicato nell’originaria imputazione.

Dunque, non poche sono le inquietudini e gli interrogativi, di fronte agli scenari aperti da queste situazioni e se i nostri timori dovessero rivelarsi fondati, i vari momenti di questo processo si andrebbero ad incastrare come tanti tasselli di un puzzle nel perfetto disegno della consegna dell’azienda in mani private. Queste, a discapito di un’intera comunità che da anni invoca giustizia, potrebbero aumentare la produzione industriale grazie anche all’ultimo decreto Salva ILVA, che ulteriormente annacqua in maniera sconsiderata le prescrizioni dell’AIA, con il rischio concreto sia di una drastica riduzione del numero dei lavoratori sia di non osservanza ,ancora una volta, delle prescrizioni sanitarie necessarie per la tutela dell’ambiente e la salvaguardia della salute.